di VALERIA ROSSI – Chi ha mai sentito parlare del Decreto Legislativo n. 529, del 30 dicembre 1992?
Probabilmente nessuno: eppure esiste, è attualmente in vigore e vent’anni fa è andato a sostituire la legge n. 30 del 15 gennaio 1991, che era riferita solo agli animali da reddito.
Il D.Lgs 529/92 recepisce invece la direttiva europea 91/174/CEE relativa alle condizioni zootecniche e genealogiche che disciplinano la commercializzazione degli animali di razza, estendo
l’applicazione anche a tutte le specie e razze che non erano contemplate nella legge n. 30, quindi anche a cani e gatti.
Ma di cosa parla, questo misconosciuto decreto?
Parla del concetto di “animale di razza pura” e stabilisce le regole per la sua commercializzazione, determinando una volta per tutte – e senza possibilità di equivoci – la definizione giuridica
di “cane o gatto di razza”… e VIETANDO, di fatto, la vendita di animali sprovvisti di
certificato genealogico.
Insomma, non solo il cane (o il gatto) senza pedigree non possono in alcun modo essere definiti “di razza” (come già sapevamo): ma non possono neppure essere ceduti in cambio di denaro!
Infatti, all”art. 5, il decreto stabilisce che “è consentita la commercializzazione di animali di razza di origine nazionale e comunitaria, nonché dello sperma, degli ovuli e degli embrioni dei
medesimi, esclusivamente con riferimento a soggetti iscritti ai libri genealogici o registri
anagrafici, di cui al precedente art. 1, comma 1, lettere a) e b), e che risultino
accompagnati da apposita certificazione genealogica, rilasciata dall’associazione degli allevatori che detiene il relativo libro genealogico o il registro anagrafico.
É ammessa, altresì, la commercializzazione di animali di razza originari dei Paesi terzi, per i quali il Ministro dell’agricoltura e delle foreste abbia con proprio provvedimento accertato
l’esistenza di una normativa almeno equivalente a quella nazionale.
Alle stesse condizioni è ammessa la commercializzazione dello sperma, degli ovuli e degli embrioni provenienti dai detti animali originari dei Paesi terzi. Non sono ammesse condizioni più
favorevoli di quelle riservate agli animali di razza originari dei Paesi comunitari.
Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque commercializza gli animali indicati nei commi 1 e
2 in violazione delle prescrizioni ivi contenute è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da L. 10.000.000 a L. 60.000.000 (essendo il decreto antecedente
all’avvento dell’euro, le cifre sono ancora espresse in lire).
Insomma, la commercializzazione è riservata esclusivamente agli animali accompagnati da
pedigree!
I “senza pedigree” non dovrebbero neanche essere venduti, e sicuramente non venduti come cani o gatti “di razza”: all’art. 3 dello stesso decreto risulta che non potrebbero neppure
essere ammessi alla riproduzione!
Soprattutto nel mondo catofilo c’è grande subbuglio, in questi giorni: ora vedremo se anche il mondo cinofilo saprà muoversi e chiedere il rispetto di questo decreto che potrebbe mettere un
definitivo freno alla vendita di cuccioli senza pedigree, ma spacciati per cani/gatti di razza pura.
Sul sito www.anfi.it potrete trovare il testo integrale del decreto.
Fonte : www.tipresentoilcane.com
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